sabato, 21 Dicembre, 2024
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Corte di cassazione – Sezioni Unite civili – Ordinanza 13 gennaio-9 settembre 2009 n. 19393 (Presidente Carbone; Relatore Salmè; Pm – difforme – Martone; Ricorrente Opana; Controricorrente Ministero dell’Interno)

Giurisdizione – Sullo straniero – Richiedente permesso di soggiorno per ragioni umanitarie – Giudice ordinario – Ammissibilità. (Dlgs 286/1998, articoli 5, 6 e 19; legge 189/2002, articolo 3; Costituzione, articolo 2) La situazione giuridica dello straniero che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall’articolo 2 della Costituzione esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore.

Rilevato in fatto

II cittadino liberiano Paul Opana, giunto il 14 dicembre 2002 a Lampedusa, dove è stato trattenuto nel locale CPT, ha richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato assumendo che tutta la sua famiglia, di religione cristiana, era stata sterminata dai ribelli di religione musulmana, che nel suo paese si era scatenata la guerra civile tra le opposte fazioni dei LURD (Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia) e dei MODEL (Movimento per la democrazia in Liberia) e che, pertanto, era stato costretto a fuggire.

La commissione nazionale per il diritto d’asilo, con deliberazione del 24 novembre 2005 notificata il 17 aprile 2007, ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato affermando che le condizioni di pericolo denunciate investono la generalità dei cittadini liberiani e che non essendo riconducibili a persecuzioni dirette e personali non rientrano nelle previsioni della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.

Con ricorso del 23 luglio 2007, ai sensi dell’art. 1-quater, 5° comma della legge n. 39 del 1990, introdotto con la legge n. 189 del 2002, Paul Opana ha impugnato davanti al tribunale di Roma il provvedimento della commissione nazionale, assumendo che, sulla base della documentazione prodotta (rapporto ARIF 2007, rapporto Amnesty International 2006, rapporto Human Rights Watch 2004 e 2007) e tenendo presente l’attenuazione dell’onere probatorio previsto dalla direttiva 2004/83/CE, debbono ritenersi provate le persecuzioni subite dal ricorrente e dalla sua famiglia nel paese d’origine. Ha chiesto pertanto il riconoscimento dello status di rifugiato, o, in via subordinata, del diritto all’asilo, ovvero, in via ulteriormente subordinata, del diritto alla protezione umanitaria ai sensi degli artt. 5, 6° comma e 19 del d.lgs. n. 286 del 1998 e degli articoli 2 lettera f), 4 e 5 della citata direttiva.

In pendenza del giudizio Paul Opana, con ricorso notificato il 14 e 15 novembre 2008, illustrato con memoria, sul rilievo che in ordine alla questione relativa all’identificazione del giudice al quale spetta la giurisdizione sulla concessione della protezione umanitaria ex artt. 5, comma 6, e 19 del d. lgs. n. 286 del 1998 si sono manifestati contrastanti orientamenti dei giudici ordinari e dei giudici amministrativi, ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del tribunale adito anche con riferimento alla domanda di protezione umanitaria. Resiste con controricorso il ministero dell’interno.

II procuratore generale ha concluso per la dichiarazione della giurisdizione del giudice amministrativo.

Considerato in diritto

1. La questione sollevata dal ricorrente attiene all’individuazione del giudice al quale spetta la giurisdizione sulla domanda diretta ad ottenere l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria di cui agli artt. 5, 6° comma, e 19 del d. lgs. n. 286 del 1998 e agli articoli 2, lettera f), 4 e 5 della direttiva 2004/83/CE del consiglio europeo in data 29 aprile 2004, essendo incontroversa la giurisdizione del tribunale adito in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato e alla domanda subordinata di riconoscimento del diritto di asilo, ai sensi dell’art. 10 3° comma cost. (cass. n. 4764/1997, 907/1999, 5055/2002, 8423 e 11441/2004).

Sostiene il ricorrente che, anche alla stregua della citata direttiva del consiglio europeo, attuata solo con il d. lgs. n. 251 del 2007, entrato in vigore il 19 gennaio 2008 successivamente alla proposizione del ricorso davanti al tribunale di Roma, ma da ritenersi efficace anche per il periodo anteriore in quanto self executing, la situazione giuridica soggettiva dello straniero che chieda la concessione della protezione umanitaria sulla base delle norme indicate, ha consistenza di diritto soggettivo costituzionalmente protetto, costituendo una delle forme di realizzazione del diritto di asilo previsto dall’art. 10, 3° comma cost., e avendo natura di diritto umano fondamentale, in quanto attiene alla vita e all’incolumità fisica della persona, e come tale oggetto di protezione alla stregua degli obblighi internazionali (convenzione di Ginevra del 1951 e CEDU). L’amministrazione, quindi, avrebbe solo il potere di accertare la sussistenza dei requisiti obiettivi per la concessione della protezione umanitaria, nell’esercizio di un potere vincolato o al massimo di mera discrezionalità tecnica. Ne deriverebbe che quando, come nella specie, non sia proposta impugnazione del rifiuto o della revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per la quale l’art. 6 del d. lgs n. 286/1998 prevede la giurisdizione del giudice amministrativo, ma domanda di mero accertamento del diritto alla protezione umanitaria, insieme con la domanda diretta a ottenere la dichiarazione del diritto allo status di rifugiato o del diritto all’asilo, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.

2. Giova innanzi tutto rilevare che la fattispecie oggetto del presente giudizio è diversa da quella sulla quale queste sezioni unite si sono pronunciate con le ordinanze n. 7933 e 8270 del 2008. Infatti nei precedenti citati si trattava di accertare a quale giudice spettasse la giurisdizione sull’impugnazione del provvedimento del Questore di allontanamento dello straniero, con implicito rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, a seguito di provvedimento negativo della commissione nazionale sulla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, mentre la presente controversia ha ad oggetto le domande di accertamento del diritto allo status di rifugiato o, in subordine, del diritto di asilo o, in ulteriore subordine, del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Deve anche precisarsi che la disciplina applicabile alla presente controversia, che evidentemente rientra in una categoria di giudizi destinati ad esaurirsi entro breve tempo, e dettata, innanzi tutto, dagli articoli 5, 6° comma, e 19 del d.lgs. n. 286 del 1998 e dall’art. 28, lettera d) del relativo regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 394 del 1999. Infatti, l’art. 34, 3° comma della legge 30 luglio 2002, n. 189, nel dettare la disciplina transitoria, ha disposto che la nuova disciplina del diritto d’asilo, e in particolare l’art. 32 che ha attribuito alle nuove commissioni territoriali il potere, anche officioso, di effettuare la valutazione (di natura tecnica, data la composizione delle commissioni stesse) dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 5, 6° comma del d.lgs. 286/1998, trovi applicazione dalla data di entrata in vigore (20 aprile 2005) del regolamento approvato con d.p.r. n. 303 del 2004, che, a sua volta, all’art. 21 espressamente prevede che le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, proposte anteriormente al 20 aprile 2005 sono decise in applicazione della disciplina precedente.

Il quadro normativo di riferimento, tuttavia, deve essere integrato anche con le norme costituzionali e internazionali alle quali, peraltro, fa espresso rinvio l’art. 5, 6° comma d.lgs. n. 286/1998 e pertanto, tenendo presenti, da un lato, gli articoli 2 e 10, 3° comma cost. e dall’altro, la convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, sullo statuto dei rifugiati, resa esecutiva con legge n. 722 del 1954 e il protocollo di New York del 31 gennaio 1967, nonché l’art. 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, che, nell’interpretazione datane dalla corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 20 marzo 1991, Cruz Varas, 30 ottobre 1991, Vilvaraja), da ultimo con la sentenza 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia, impone agli Stati di offrire protezione agli stranieri che, se allontanati nei paesi d’origine, potrebbero essere sottoposti a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti, senza possibilità di bilanciare il diritto dello straniero con altri interessi, pur meritevoli di tutela, configgenti e quindi senza che sia possibile che tale obbligo subisca deroghe, sia pure per esigenze di sicurezza dello Stato. Sul piano interpretativo, trattandosi di un testo ricognitivo dei valori e dei principi europei in materia di diritti fondamentali, può farsi riferimento all’analoga disciplina dettata dalla Carta di Nizza, parte integrante del trattato di Lisbona ratificato dall’Italia 1’8 agosto 2008 ma in attesa delle ulteriori necessarie ratifiche da parte degli altri Stati dell’Unione (Corte cost. n. 393/2006). La Carta, infatti, dopo aver ribadito la garanzia del diritto d’asilo (art. 18) ha previsto, come forma di protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione, il divieto di espulsioni collettive e quello di allontanamento, espulsione o estradizione verso gli Stati in cui esiste un rischio serio di essere sottoposti alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

Infine, rileva nella specie anche la disciplina dettata con la direttiva 2004/83/CE del consiglio europeo, in data 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea n. 304 del 30 aprile 2004, se non in quanto direttamente applicabile nel diritto interno, già prima dell’attuazione disposta con il d. lgs. n. 251 del 2007, quanto meno e certamente come criterio interpretativo della disciplina nazionale, in ossequio al noto principio dell’interpretazione conforme che impone al giudice statale di interpretare il diritto nazionale in modo da garantire la piena effettività delle direttive europee mediante il conseguimento del risultato dalle stesse perseguito (cass. n. 27310/2008).

3. La questione di giurisdizione sottoposta all’esame di queste sezioni unite richiede la qualificazione della situazione giuridica soggettiva posta a base della domanda di accertamento del diritto al permesso di soggiorno umanitario proposta davanti al tribunale di Roma.

L’art. 5, 6° comma del d. lgs. n. 286 del 1998 non definisce i seri motivi di carattere umanitario che limitano il potere di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno allo straniero privo dei requisiti previsti da convenzioni o accordi internazionali. Al di là del generico rinvio alla disciplina del diritto internazionale umanitario, e cioè all’insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che, in caso di conflitti armati, di natura sia internazionale che interna, limitano il diritto delle parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento, proteggono le persone e i beni coinvolti o che rischiano di rimanere coinvolti nel conflitto, non sembra dubbio che i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alle fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella costituzione, non solo per il valore del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo in forza dell’art. 2 cost., ma anche perché, al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nell’interpretazione (Corte cost. n. 388/1999).

La situazione giuridica soggettiva dello straniero che richieda il permesso di soggiorno per motivi umanitari, pertanto, gode quanto meno della garanzia costituzionale di cui all’art. 2 cost., sulla base della quale, anche ad ammettere, sul piano generale, la possibilità di bilanciamento con altre situazioni giuridiche costituzionalmente tutelate (che, sulla base della giurisprudenza della corte di Strasburgo, dovrebbe escludersi nell’ipotesi in cui venga in considerazione il divieto di cui all’art. 27, 3° comma cost., sostanzialmente corrispondente all’art. 3 CEDU), esclude che tale bilanciamento possa essere rimesso al potere discrezionale della pubblica amministrazione, potendo eventualmente essere effettuato solo dal legislatore, nel rispetto dei limiti costituzionali.

A tali conclusioni è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte rispetto alle analoghe situazioni del diritto di asilo e di quello al riconoscimento dello status di rifugiato rispetto alle quali il provvedimento giurisdizionale non ha natura costitutiva, ma dichiarativa (cass. n. 4764/1997, 907/1999, 5055/2002, 8423 e 11441/2004).

L’identità di natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, in quanto situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali, trova riscontro nell’espressa disciplina contenuta nell’art. 19, 1° comma del d.lgs. n. 286 del 1998, il quale individua la situazione che impone il divieto di espulsione e respingimento (e che pertanto legittima il diritto al soggiorno per un motivo che non può non definirsi di natura umanitaria) con riferimento alla possibilità che lo straniero subisca persecuzioni per le ragioni dalla norma indicate, con formulazione solo marginalmente diversa da quella utilizzata dalla convenzione di Ginevra per descrivere i presupposti per la concessione dello status di rifugiato. Né contraddice tali rilievi la circostanza che, secondo un orientamento di questa corte (cass. n. 4725/2007, 3732/2004), la disposizione dell’art. 19 dovrebbe essere letta in connessione con il successivo art. 20, il quale prevede, come limite all’apprezzamento del giudice l’avvenuta adozione del decreto del presidente del consiglio dei ministri, d’intesa con tutti i ministri interessati, di misure temporanee da adottarsi, anche in deroga della disciplina generale dell’immigrazione, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità. Infatti, tale orientamento non appare univocamente seguito (v. infatti cass. n. 16417/2007, che ha ritenuto del tutto autonomo l’accertamento della sussistenza del fatto persecutorio) e ha formato oggetto di persuasivi rilievi da parte della dottrina la quale ha evidenziato che l’art. 20 riguarda situazioni collettive ed autorizza deroghe alla ordinaria disciplina dell’immigrazione in favore della generalità di soggetti nei cui confronti si siano verificati gli eventi indicati nella disposizione, mentre l’art. 19 ha ad oggetto situazioni meramente individuali.

L’identità della natura giuridica di tutte le situazioni soggettive inquadrabili nella categoria dei diritti umani fondamentali, che deve essere affermata sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina interna vigente ancor prima del 20 aprile 2005, ha, inoltre, trovato espressa conferma nelle norme interne di attuazione delle direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE, di cui, rispettivamente, ai decreti legislativi n. 251 del 2007 e n. 25 del 2008 (parzialmente modificato con il d. lgs. n. 159 del 2008). L’art. 32 del primo testo normativo ha attribuito le valutazioni relative ai presupposti per la concessione dei permessi di soggiorno umanitari alle stesse commissioni territoriali competenti per l’accertamento dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e la concessione della «protezione sussidiaria» di cui all’art. 2 lettera e), mentre l’art. 34 del d. lgs. n. 25/2008 ha stabilito l’equivalenza degli effetti delle dette misure di «protezione sussidiaria» e dei permessi di soggiorno per ragioni umanitarie. Appare evidente che la ratio di entrambe le norme è individuabile proprio nell’accertata identità di natura delle situazioni giuridiche e che la nuova disciplina appare, sul punto, avere più una funzione ricognitiva e chiarificatrice che innovativa.

In conclusione, la situazione giuridica dello straniero che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall’art. 2 cost., esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidata solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore.

4. La giurisdizione sui diritti umani fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al giudice ordinario.

In senso contrario non appare decisivo il disposto dell’art. 6, decimo comma del d. lgs. n. 286/1998, che attribuisce al giudice amministrativo la cognizione dei ricorsi contro i provvedimenti di cui all’art. 5.

In primo luogo, infatti, l’art. 5 disciplina una pluralità di fattispecie rispetto alle quali non sono ravvisabili ostacoli di ordine costituzionale all’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo. Inoltre la fattispecie di cui all’art. 5, 6° comma è assolutamente generica e si riempie di contenuti solo mediante rinvio a norme, interne o di diritto internazionale generale o convenzionale, aventi un oggetto più preciso. Tra le norme alle quali la generica formulazione dell’art. 5 fa rinvio viene in considerazione certamente l’art. 19 che, descrivendo in modo puntuale i presupposti per la concessione dei permessi di soggiorno nelle situazioni corrispondenti ai divieti di espulsione e respingimento, esclude un potere discrezionale della pubblica amministrazione che deve solo accertare l’esistenza delle circostanze di fatto indicate dalla norma, con la conseguenza che i ricorsi avverso i provvedimenti che negano i permessi di soggiorno nelle fattispecie di cui all’art. 19 dovranno essere proposti davanti al giudice ordinario, anche per ragioni letterali, in quanto l’art. 6 si riferisce ai provvedimenti adottati sulla base della diversa norma di cui all’art. 5.

Del pari di permesso di soggiorno per motivi umanitari (probabilmente per tutelare la riservatezza degli stranieri in favore dei quali è concesso) parla altresì l’art. 27, 2° comma del d.p.r. n. 394 del 1999 con riferimento ai permessi che l’art. 18 del d. lgs. n. 286 del 1998 indica come rilasciati per motivi di protezione sociale.

In secondo luogo evidenti ragioni di rispetto del principio di ragionevole durata dei giudizi, di cui all’art. 111 cost., impedisce di attribuire a giudici appartenenti a plessi giurisdizionali diversi la cognizione di situazioni giuridiche tra loro strettamente connesse, come quelle sulle quali si basa la domanda di asilo o di riconoscimento dello status di rifugiato e quella diretta a ottenere la protezione per ragioni umanitarie. Infatti la giurisprudenza amministrativa largamente prevalente (cons. Stato, sez. VI, n. 3835/2005, n. 6765/2005, 6761/2005, t.a.r. Lazio 11 luglio 2006, n. 5379; in senso contrario, implicitamente cons. Stato sez. VI, n. 2868/2006), nella vigenza della disciplina anteriore al 20 aprile 2005, ha affermato che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario l’impugnazione dell’intimazione a lasciare il territorio, con implicito rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pronunciata dal Questore nei confronti dello straniero la cui domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sia stata respinta, trattandosi di provvedimento consequenziale alla valutazione negativa della commissione nazionale, fondata sulla mera discrezionalità tecnica, e impugnabile davanti allo stesso giudice ordinario per espressa previsione legislativa. Infatti, l’atto del Questore si inserisce in un unico procedimento, che inizia con la richiesta rivolta alla commissione e termina con l’ordine di allontanamento, con la conseguenza che sarebbe priva di giustificazione razionale un sistema che, affermando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario sull’atto della commissione, la negasse rispetto all’atto meramente consequenziale, costringendo inoltre lo straniero a promuovere due giudizi davanti a giudici diversi aventi se non lo stesso oggetto, oggetti strettamente connessi.

Vero è che in altre occasioni queste sezioni unite (cass. n. 7933 e 8270/2008) hanno invece ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa, ma a tale conclusione sono pervenute in fattispecie diverse da quella oggetto del presente ricorso relative alla sola impugnazione dei provvedimenti del questore e sostanzialmente, sulla base dell’orientamento che presupponeva una lettura dell’art. 19, 1° comma in connessione con il successivo art. 20, che prevede un’ipotesi di valutazione certamente di natura politico-amministrativa, ma tale orientamento, come si è rilevato, non è pacifico, essendo contraddetto da una decisione della prima sezione civile di segno contrario e dalle critiche convincenti della dottrina.

Per le indicate ragioni deve essere dichiarata la giurisdizione del tribunale di Roma.

La parziale novità della questione giustifica la compensazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La corte dichiara la giurisdizione del tribunale di Roma e compensa le spese.

S. Bottiglieri
Author: S. Bottiglieri