giovedì, 21 Novembre, 2024
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Con una circolare diffusa il 3 novembre scorso, la Procura distrettuale di Bologna ha fissato alcune importanti direttive in tema di stupefacenti. Le linee guida hanno l’obiettivo di definire alcune regole operative alla luce del mutato contesto normativo, dopo la reviviscenza della Jervolino-Vassalli e il successivo intervento del legislatore. L’intervento ha portato alla modifica dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., relativo ai “fatti di lieve entità”, già qualificati come reato autonomo dal d.l. n. 146 del 2013.

Linee guida stupefacenti Procura Bologna 2017

Alla base della circolare c’era l’esigenza di ridurre la diffusa incertezza sull’applicazione delle misure pre-cautelari e cautelari nel distretto bolognese, in particolare per quel che riguarda le ipotesi aggravate di spaccio nei pressi delle università. Le limitazioni recentemente introdotte hanno inasprito la percezione di impunità per i fenomeni di piccolo spaccio nelle zone di Bologna, per l’appunto, a più alta frequentazione di giovani.

Va, infatti, ricordato che la custodia cautelare in carcere è da escludere in virtù dell’art. 280, comma 2, c.p.p.. Per i fatti di lieve entità considerati dall’art. 75 T.U. stup. (condotte di produzione, spaccio e detenzione) il massimo è di soli quattro anni, mentre per la custodia cautelare occorrono almeno cinque anni nel massimo. È ammissibile la custodia cautelare solo in caso di trasgressione degli ordini del magistrato che ha già applicato una misura cautelare.

Per quel che riguarda l’arresto in flagranza, è pacificamente esclusa l’obbligatorietà, mancando le ipotesi in parola tra quelle indicate tassativamente dal riformato art. 380, comma 2, c.p.p. D’altra parte, residuano pochissimi spazi per un arresto facoltativo, posto che tra i requisiti dell’art. 381, comma 4, c.p.p. figurano gravità del fatto e, alternativamente, pericolosità dell’oggetto. La Procura di Bologna ammette che tali condizioni «paiono concettualmente pressoché non configurabili in presenza di un fatto che sia ritenuto di lieve entità», riuscendo ad immaginare — quale esempio di arresto facoltativo in flagranza — un soggetto pluripregiudicato in possesso di pochi grammi di eroina (fatto lieve ma pericolosità soggettiva).

La Procura, dunque, si preoccupa di delineare i requisiti della “lieve entità”, non facendo altro che richiamare la giurisprudenza della c.d. valutazione congiunta. La lievità deve dedursi ponderando tutti gli elementi del fatto: mezzi, modalità, circostanze, nonché qualità e quantità dello stupefacente.

La quantità “ponderalmente esorbitante” è un parametro bastevole, di per sé, ad escludere la lieve entità. Tale eventualità scatta senza dubbio quando la quantità supera di 2000 volte il valore-soglia (Q.M.D., quantità massima detenibile) espresso in milligrammi dalla tabella allegata al dm 11 aprile 2006; è queste il limite a partire dal quale le Sezioni Unite hanno riconosciuto l’aggravante dell’ingente quantità (Cass., SS.UU., 24 maggio, n. 36258). Non vale, invece, la reciproca: una quantità inferiore alle soglie tabellari non comporta l’automatica attribuzione della “lieve entità” del fatto. Idem per quel che riguarda i quantitativi non importanti, ma comunque “non minimali”.

Come si ottiene la quantità della sostanza sequestrata? Il calcolo, in realtà, è piuttosto agevole perché legato al peso lordo della sostanza, misura rapidamente apprezzabile dagli inquirenti. Si moltiplica questa quantità per la percentuale di principio attivo (mediamente individuata nelle dosi “da strada”) così come è indicata nelle tabelle ministeriali, e si divide questo risultato per 100.

Scoperta la quantità di principio attivo, resta solo da confrontare questo dato con il parametro della quantità massima detenibile. Il quantitativo si considera modesto:

  • per le droghe pesanti, quando il principio attivo è inferiore a 20 Q.M.D.,
  • per le droghe leggere, quando il principio attivo è inferiore a 40 Q.M.D.

Come già accennato, tuttavia, il rispetto di queste soglie non comporta l’automatica configurazione della “lieve entità”, dovendosi guardare agli altri parametri per la valutazione congiunta. La Procura ricorda l’incertezza della giurisprudenza sul fattore “episodicità”; dal canto suo, comunque, fornisce interessanti indicazione operative per gli uffici bolognesi, escludendo la “lieve entità” quando il fatto non presenti le caratteristiche della rudimentalità, ossia quando lo spacciatore — anche di piccole quantità —  risulti inserito nell’ambiente dei traffici illeciti o, peggio, in una struttura organizzata.

Quanto alle circostanze sulla persona, le indicazioni della Procura mirano a tenere conto della finalità delittuosa (fine di lucro?), della condizione soggettiva del reo (consumatore-spacciatore o solo spacciatore), precedenti specifici (non solo penali, ma anche di polizia).

Infine, il tema spinoso dello spaccio nei pressi di una sede universitaria, per il quale risulta controversa l’applicazione dell’aggravante specifica ex art. 80, comma 1, lettera g), T.U. stup. («se l’offerta o la cessione è effettuata all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine e grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti»).

L’indicazione della Procura distrettuale di Bologna è quella di includere le università tra le “scuole di ogni ordine e grado” e, ad abundantiam, tra le “comunità giovanili”, con la conseguenza di rendere applicabile tale aggravante anche nelle ipotesi di spaccio dentro o nei pressi di una sede universitaria.

La questione non è così semplice, come ammette la stessa Procura. L’opinione della giurisprudenza non collima con quella della Procura sulla riducibilità dell’università alla scuola, essendo desumibile la voluntas dei costituenti di distinguere tra scuola (primi quattro commi dell’art. 33 Cost.) e università (quinto comma); distinzione che viene mantenuta, peraltro, anche nella nomenclatura ministeriale. Nemmeno considerarla una “comunità giovanile” trova consensi, posto che all’università manca la natura di «entità collettiva presente […] in un luogo ad essa esclusivamente dedicato». Non si può dire, dunque, che almeno su questo punto la questione sia conclusa.

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Avv. Salvatore Bottiglieri

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