Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 28/11/2017 n° 5575
Professionisti – Avvocati – Titolo di specialista – Regolamento ex decreto ministeriale 12 agosto 2015, n. 144 – Utilizzo del titolo senza averlo conseguito – Previsione di illecito disciplinare – Illegittimità dell’art. 2, co. 3, del D.m.
Fatto e diritto
1. L’art. 9, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (“Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”; d’ora in poi: legge) stabilisce che:
“E’ riconosciuta agli avvocati la possibilità di ottenere e indicare il titolo di specialista secondo modalità che sono stabilite, nel rispetto delle previsioni del presente articolo, con regolamento adottato dal Ministro della giustizia previo parere del CNF, ai sensi dell’articolo 1”.
1.1. Con decreto ministeriale 12 agosto 2015, n. 144, è stato adottato il regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista (d’ora in poi: regolamento).
1.2. Con separati ricorsi, alcune associazioni professionali di categoria e singoli professionisti hanno impugnato il d.m. n. 144/2015, proponendo articolate censure.
2. Con ricorso n.r.g. 15057/2015 l’A.N.A.I – Associazione nazionale avvocati italiani e l’avvocato M.D.T., quale presidente e legale rappresentante p.t. nonché in proprio, hanno impugnato il regolamento con quattro motivi di doglianza.
2.1. Con sentenza 14 aprile 2016, n. 4427, il T.A.R. per il Lazio, sez. I, ha accolto la seconda censura, respingendo le altre e compensando fra le parti le spese di giudizio.
2.2. Il Tribunale regionale ha ritenuto che la previsione dell’art. 6, comma 4, del regolamento (“Nel caso di domanda fondata sulla comprovata esperienza il Consiglio nazionale forense convoca l’istante per sottoporlo ad un colloquio sulle materie comprese nel settore di specializzazione”) sarebbe intrinsecamente irragionevole per genericità in quanto non chiarirebbe nulla circa il contenuto del colloquio, le qualifiche e le competenze degli esaminatori, le modalità di svolgimento della prova. Essa conferirebbe perciò al Consiglio nazionale forense una latissima discrezionalità operativa, possibile fonte di confusione interpretativa e distorsioni applicative anche in punto di concorrenza fra avvocati e comunque in assoluta contraddizione con la funzione del regolamento come descritta dall’art. 9 della legge, cioè quella di individuare un procedimento di conferimento definito in maniera precisa e dettagliata, a tutela dei consumatori utenti e degli stessi professionisti che intendano conseguire il titolo.
3. Con ricorso spedito per la notifica il 28 ottobre 2016, il Ministero della giustizia ha interposto appello avverso la sentenza n. 4427/2016, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva (ricorso n.r.g. 2016/8715).
3.1. L’Amministrazione ha sostenuto che il T.A.R. non avrebbe valutato la disposizione censurata nel quadro dell’intera cornice legislativa e regolamentare di riferimento (in particolare, in relazione agli artt. 9, commi 2, 4 e 5 della legge; agli artt. 2, comma 2, 6, commi 2, 4 e 5, 7, comma 12, 8, 9, 11, 12, comma 3, e 14 del decreto ministeriale). La nuova normativa contemplerebbe un doppio canale per il conseguimento del titolo di avvocato specialista: da un lato la frequenza di un percorso formativo almeno biennale e la positiva attestazione dell’esito positivo attraverso il superamento di prove scritte e orali; dall’altro la comprovata esperienza nel settore di specializzazione, subordinata alla sussistenza e alla verifica di determinati requisiti, affidata al C.N.F. Il colloquio presso quest’ultimo – determinato nel contenuto in funzione del settore di specializzazione e delle produzioni del candidato e, quanto alle modalità, dall’evidente significato della nozione, distinta da quella di prova orale – rappresenterebbe uno strumento ragionevole e adeguato di valutazione in contraddittorio delle aspecifica professionalità in questione.
3.2. L’A.N.A.I. e l’avvocato M.D.T. si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello, osservando che il Ministero avrebbe impugnato la sentenza di primo grado con ricorso notificato oltre sei mesi dopo la pubblicazione della sentenza e sostenendo che le argomentazioni svolte dall’Amministrazione non sarebbero in grado di superare la chiarissima lacuna del regolamento censurata dal primo giudice.
3.3. Alla camera di consiglio del 19 gennaio 2017, sulla richiesta e l’accordo delle parti, la causa è stata rinvia al merito.
3.4. Con memoria depositata il 6 ottobre 2017, il Ministero ha rilevato che, in mancanza di appello incidentale, si sarebbe formato il giudicato sui capi della sentenza sfavorevoli ai ricorrenti in primo grado e ha insistito per l’accoglimento del proprio gravame.
3.5. All’udienza pubblica del 9 novembre 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
4. Con ricorso n.r.g. 13957/2015 l’O.U.A. – Organismo unitario dell’avvocatura italiana e l’avvocato M.C., in proprio e nella qualità di presidente e legale rappresentante p.t., hanno impugnato il regolamento con sette motivi di doglianza.
4.1. Si sono costituiti ad adiuvandum l’Associazione giovani amministrativisti e l’Ordine degli avvocati di Lecce.
4.2. Si sono costituiti ad opponendum l’Unione delle camere penali italiane, l’A.G.I. – Avvocati giuslavoristi italiani, l’A.I.F. – Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, l’U.N.C.A.T. – Unione nazionale camere avvocati tributaristi.
4.3. Con sentenza 14 aprile 2016, n. 4424, il T.A.R. per il Lazio, sez. I, ha respinto le eccezioni di inammissibilità degli interventi ad opponendum spiegati e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse; nel merito, ha accolto la terza censura, rigettando le altre e compensando fra le parti le spese di giudizio.
4.4. Il Tribunale regionale ha ritenuto che la previsione dell’art. 3 del regolamento, circa la suddivisione dei settori di specializzazione, sarebbe intrinsecamente irragionevole e arbitraria, illogicamente omissiva di discipline giuridiche oggetto di codificazione (diritto dei consumatori) o oggetto di giurisdizioni dedicate (Corte dei conti). Inoltre non sarebbe possibile coglierne il principio logico di base, posto che la suddivisione adottata non corrisponderebbe a un criterio codicistico né a quello delle competenze dei vari organi giurisdizionali né all’elenco degli insegnamenti universitari. Tanto avrebbe già osservato il Consiglio di Stato in sede consultiva sullo schema di regolamento, con rilievi cui il Ministero si sarebbe adeguato in maniera solo parziale, mentre – alla luce della perseguita finalità di rendere il mercato delle prestazioni legali più leggibile per i consumatori – non sarebbe condivisibile l’argomentazione difensiva secondo cui la censura si risolverebbe in una valutazione di merito riservata all’Amministrazione.
4.5. Con ricorso spedito per la notifica tra il 28 e il 30 ottobre 2016, il Ministero della giustizia ha interposto appello avverso la sentenza n. 4424/2016, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva (ricorso n.r.g. 2016/8716).
4.6. L’Amministrazione ha sostenuto che il regolamento avrebbe integralmente recepito le sollecitazioni espresse dal C.N.F. e dalle competenti Commissioni permanenti dei due rami del Parlamento e si sarebbe pienamente adeguato al parere del Consiglio di Stato. Ferma la necessità di mantenere la tradizionale tripartizione nei settori del diritto civile, penale e amministrativo, la scelta degli ambiti di specializzazione sarebbe stata dettata dalla necessità di individuarne alcuni connotati da una più marcata specificità alla luce delle competenze giurisdizionali, del criterio codicistico e della legislazione speciale. Il T.A.R. avrebbe inammissibilmente ritenuto di sindacare valutazioni tecniche e scelte di merito compiute dal regolatore.
4.7. Gli originari ricorrenti non si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello.
4.8. Alla camera di consiglio del 19 gennaio 2017, sulla richiesta e l’accordo della sola parte presente, la causa è stata rinviata al merito.
4.9. Con memoria depositata il 6 ottobre 2017, il Ministero ha rilevato che, in mancanza di appello incidentale, si sarebbe formato il giudicato sui capi della sentenza sfavorevoli ai ricorrenti in primo grado e ha insistito per l’accoglimento del proprio gravame.
4.10. All’udienza pubblica del 9 novembre 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
5. Con ricorso n.r.g. 14392/2015 gli Ordini degli avvocati di Roma, Napoli e Palermo nonché gli avvocati M.V., P.D.T., A.G., R.B., A.M. e M.S., in proprio e quali presidenti o consiglieri degli Ordini degli avvocati di Roma, Napoli e Palermo, hanno impugnato il regolamento con quattro motivi di doglianza.
5.1. Si sono costituiti ad opponendum l’Unione delle camere penali italiane, l’A.G.I. – Avvocati giuslavoristi italiani, l’A.I.A.F – Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, l’U.N.C.A.T. – Unione nazionale camere avvocati tributaristi.
5.2. Con sentenza 14 aprile 2016, n. 4428, il T.A.R. per il Lazio, sez. I, ha respinto le eccezioni di inammissibilità degli interventi ad opponendum spiegati e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse; nel merito, ha accolto parzialmente la prima e la seconda censura, respingendo le altre e compensando fra le parti le spese di giudizio.
5.3. Il Tribunale regionale ha ritenuto che:
a) la previsione dell’art. 3 del regolamento, circa la suddivisione dei settori di specializzazione, sarebbe intrinsecamente irragionevole e arbitraria secondo quanto più ampiamente riportato sopra in relazione alla sentenza n. 4427/2016, mentre sarebbe infondata la contestazione del numero massimo di specializzazioni conseguibili;
b) la previsione dell’art. 6, comma 4, del regolamento, circa il colloquio dinanzi al C.N.F. ai fini del conseguimento del titolo per comprovata esperienza, sarebbe intrinsecamente irragionevole per genericità in quanto non chiarirebbe nulla circa il contenuto del colloquio, le qualifiche e le competenze degli esaminatori, le modalità di svolgimento della prova, secondo quanto più ampiamente riportato sopra in relazione alla sentenza n. 4424/2017.
5.4. Con ricorso spedito per la notifica tra il 28 ottobre e il 2 novembre 2016, il Ministero della giustizia ha interposto appello avverso la sentenza n. 4428/2016, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva (ricorso n.r.g. 2016/8717).
5.5. Il Ministero ha riproposto le doglianze formulate avverso le sentenze, rispettivamente, n. 4427/2016 e n. 4424/2017.
5.6. L’Ordine degli avvocati di Lecce ha resistito all’appello con controricorso, senza svolgere difese.
5.7. Con ricorso spedito per la notifica il 29 dicembre 2016, gli originari ricorrenti hanno depositato appello incidentale per resistere all’appello dell’Amministrazione e contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha accolto le censure da loro proposte con riguardo:
a) al numero massimo delle specializzazioni conseguibili, non previsto dalla fonte normativa primaria e irragionevole rispetto alla tipologia delle specializzazioni previste;
b) ai requisiti per l’ottenimento e il mantenimento del titolo, che sarebbero incongrui:
– nell’equiparare la rilevante esperienza maturata in ambito giudiziale all’esito di corsi formativi “a tavolino”;
– nel discriminare le competenze acquisite da ex magistrati e professori universitari, impedendo a questi professionisti di ottenere il titolo di specialista per comprovata esperienza;
– nel discriminare inoltre i giovani avvocati, incentivandoli alla frequenza dei corsi di specializzazione e – in contrasto con un parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – non dando rilievo a esperienze professionali diverse (conseguimento di master universitari in Italia o all’estero, esperienze in rapporti di lavoro alla dipendenza di P.A. o come legali di società in house, possesso di qualificati titoli accademici o titoli specialistici); ne risulterebbe una ingiustificata distorsione della concorrenza;
– nel chiedere l’assolvimento di un numero minimo di incarichi, che di fatto escluderebbe dall’accesso al titolo per comprovata esperienza gli avvocati collaboratori, spesso formalmente non figuranti come titolari degli incarichi;
– nello specificare secondo parametri rigidi i criteri generici indicati dalla legge per l’acquisizione e il mantenimento del titolo; a proposito della revoca la legge non ne avrebbe tipizzato i presupposti e il regolamento avrebbe oltrepassato i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità;
c) alle amplissime competenze attribuite al C.N.F. in tema di conferimento e revoca del titolo, in contrasto con l’impianto complessivo della legge di riforma, inteso a privilegiare il ruolo dei Consigli degli Ordini territoriali;
d) alla illegittima previsione di una fattispecie di illecito disciplinare (art. 2, comma 3, del regolamento: spendita del titolo di specialista senza averlo conseguito) non prevista dalla legge né dal codice deontologico e non collegata a una precisa sanzione;
f) all’intero impianto normativo del regolamento, che alimenterebbe disparità di trattamento fra avvocati e gravi distorsioni della concorrenza come pure violerebbe i principi di proporzionalità e adeguatezza allo scopo, giacché il cliente-consumatore, in ambito forense, si troverebbe a dover scegliere fra sette figure professionali senza avere gli strumenti per orientare proficuamente la propria decisione;
g) alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 247/2012, proposta in via subordinata, per violazione del principio di ragionevolezza: la disciplina delle specializzazioni non coglierebbe gli obiettivi di tutelare i clienti-consumatori e ostacolerebbe la creazione di un mercato concorrenziale e aperto ai nuovi iscritti, favorendo la creazione di una categoria privilegiata di avvocati in contrasto con la legge professionale e con principi nazionali e sovranazionali, secondo un bilanciamento degli interessi in gioco complessivamente arbitrario e irrazionale.
5.8. Si è costituita in giudizio l’Unione delle camere penali italiane per chiedere l’accoglimento dell’appello principale del Ministero della giustizia e la reiezione dell’appello incidentale.
5.9. Lo stesso ha fatto l’A.G.I.
5.10. Con memoria depositata il 14 gennaio 2017, l’Amministrazione ha replicato ai motivi dell’appello incidentale.
5.11. Alla camera di consiglio del 19 gennaio 2017, sulla richiesta e l’accordo delle parti parte presente, la causa è stata rinviata al merito.
5.12. Con memoria depositata il 6 ottobre 2017, il Ministero ha rilevato che, in mancanza di appello incidentale, si sarebbe formato il giudicato sui capi della sentenza sfavorevoli ai ricorrenti in primo grado e ha insistito per l’accoglimento del proprio gravame.
5.13. In data 16 gennaio 2017, l’Unione delle camere penali italiane e l’A.G.I. hanno depositato una memoria congiunta.
5.14. Con memoria depositata il 6 ottobre 2017, il Ministero ha sostenuto l’irricevibilità per tardività dell’appello incidentale che, per essere rivolto a contestare capi sfavorevoli della sentenza impugnata (appello incidentale non condizionato ma improprio), sarebbe soggetto al rispetto del termine decorrente dalla notificazione della sentenza (termine breve) o dalla sua pubblicazione (termine lungo); quest’ultimo termine, nella specie, sarebbe decorso inutilmente. Ha comunque replicato nel merito alle censure proposte con tale appello incidentale.
5.15. In seguito gli originari ricorrenti, l’Unione delle camere penali italiane e l’A.G.I. hanno depositato memorie.
5.16. Con memoria depositata il 19 ottobre 2017, i ricorrenti in primo grado hanno replicato all’eccezione di tardività dell’appello incidentale e, nel merito, hanno rinnovato le proprie risposte ai motivi dell’appello principale.
5.17. All’udienza pubblica del 9 novembre 2017, gli appelli sono stati chiamati e trattenuti in decisione.
6. Con ricorso n.r.g. 13776/2015 l’A.N.F. – Associazione nazionale forense e l’avvocato L.P., in proprio e nella qualità di segretario generale p.t., hanno impugnato il regolamento con due motivi di doglianza, il primo dei quali è articolato in otto punti mentre il secondo prospetta, in via subordinata, l’illegittimità derivata del regolamento per illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 247/2012 per violazione degli artt. 2, 3 e 41 Cost.
6.1. Con sentenza 14 aprile 2016, n. 4426, il T.A.R. per il Lazio, sez. I, ha accolto in parte il primo motivo, respingendo le parti rimanenti come pure il secondo motivo e compensando fra le parti le spese di giudizio.
6.2. Il Tribunale regionale ha ritenuto che:
a) la previsione dell’art. 3 del regolamento, circa la suddivisione dei settori di specializzazione, sarebbe intrinsecamente irragionevole e arbitraria secondo quanto più ampiamente riportato sopra in relazione alla sentenza n. 4428/2016, mentre sarebbe infondata la contestazione del numero massimo di specializzazioni conseguibili;
b) la previsione dell’art. 6, comma 4, del regolamento, circa il colloquio dinanzi al C.N.F. ai fini del conseguimento del titolo per comprovata esperienza sarebbe intrinsecamente irragionevole per genericità in quanto non chiarirebbe nulla circa il contenuto del colloquio, le qualifiche e le competenze degli esaminatori, le modalità di svolgimento della prova, secondo quanto più ampiamente riportato sopra in relazione alla sentenza n. 4424/2017.
6.3. Con ricorso spedito per la notifica il 31 ottobre 2016, il Ministero della giustizia ha interposto appello avverso la sentenza n. 4426/2016, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva (ricorso n.r.g. 2016/8740).
6.4. Il Ministero ha riproposto le doglianze formulate avverso le sentenze n. 4427/2016, n. 4424/2016 e n. 4428/2016.
6.5. Gli originari ricorrenti si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello e, con successiva memoria, hanno replicato alle censure dell’Amministrazione e riproposto le censure di primo grado nella parte concernente: modalità dei percorsi formativi (art. 7); individuazione dei settori di specializzazione (art. 3); colloquio per il conseguimento del titolo sulla base della comprovata esperienza (art. 6); dimostrazione dell’esperienza professionale maturata ancorata al solo criterio del numero di incarichi professionali trattati per anno in settori disomogenei, stante l’utilizzo di criteri non univoci per individuare gli ambiti di specializzazione.
6.6. Alla camera di consiglio del 19 gennaio 2017, sulla richiesta e l’accordo delle parti, la causa è stata rinviata al merito.
6.7. Con memoria depositata il 6 ottobre 2017, l’Amministrazione ha sostenuto l’inammissibilità dei motivi di ricorso di primo grado riproposti da controparte in sede di gravame con la memoria depositata il 16 gennaio 2017 sia perché tale forma di riproposizione sarebbe ammessa per i soli motivi non esaminati o dichiarati assorbiti (art. 101, comma 2, c.p.a.), sia perché i motivi sarebbero privi del requisito della specificità (art. 101, comma 1, c.p.a.) sia ancora perché, a tutto concedere, la memoria, a fronte di un appello notificato il 31 ottobre 2016, sarebbe tardiva rispetto al termine di sessanta giorni previsto per la costituzione in giudizio della parte appellata.
6.8. Con memoria depositata il successivo 19 ottobre, gli appellati hanno replicato all’eccezione di inammissibilità formulata dall’Amministrazione.
6.9. All’udienza pubblica del 9 novembre 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
7. In via preliminare, il Collegio – a norma dell’art. 70 c.p.c. – riunisce gli appelli, che riguardano controversie coincidenti oggettivamente e almeno in parte soggettivamente.
8. (ricorso n.r.g. 2016/8715) Ancora in via preliminare, il Collegio rileva che:
a) l’osservazione della parte appellata, secondo cui l’Amministrazione avrebbe notificato l’appello una volta scaduto il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (osservazione che non si traduce in una formale eccezione di irricevibilità del gravame per tardività ma per certi versi la adombra), è fattualmente corretta ma infondata quanto agli effetti che potrebbero derivare dal mancato rispetto del termine di decadenza, che in concreto non sussiste dovendosi tenere conto della sospensione del decorso dei termini processuali nel corso del periodo feriale;
b) in mancanza di appello incidentale, si è formato il giudicato interno sui capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le censure proposte dagli originari ricorrenti.
8.1. L’art. 9, comma 2, della legge stabilisce che “il titolo di specialista si può conseguire all’esito positivo di percorsi formativi almeno biennali o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione”.
8.2. E’ coerente con tale previsione quella dell’art. 2, comma 2, del regolamento, secondo il quale “il titolo di avvocato specialista è conferito dal Consiglio nazionale forense in ragione del percorso formativo previsto dall’articolo 7 o della comprovata esperienza professionale maturata dal singolo avvocato a norma dell’articolo 8”.
8.3. In altri termini, l’attribuzione del titolo di avvocato specialista segue un “doppio canale”: il superamento dei percorsi formativi (che è un accertamento in sé) o, nella sussistenza dei requisiti di legge, la particolare esperienza professionale, per la quale occorre predisporre procedure di verifica adeguate.
8.4. La sentenza di primo grado ha ritenuto illegittimo l’art. 6, comma 4, del regolamento, a norma del quale “nel caso di domanda fondata sulla comprovata esperienza il Consiglio nazionale forense convoca l’istante per sottoporlo ad un colloquio sulle materie comprese nel settore di specializzazione”.
8.5. In effetti il colloquio, come delineato dalla disposizione regolamentare impugnata, ha contorni vaghi e imprecisi, sicché non ne risulta sufficientemente tutelato né l‘interesse del professionista aspirante al titolo, né, per altro verso, l’interesse del consumatore-cliente, che nella speciale qualificazione attestata dal titolo deve poter riporre un ragionevole affidamento.
8.6. La doglianza dell’Amministrazione, a detta della quale contenuti e modalità del colloquio dovrebbero essere desunti da una visione complessiva della normativa di settore, è sostanzialmente generica e va comunque oltre il segno là dove sostiene che “diversamente opinando sarebbe sufficiente dimostrare la comprovata esperienza mediante l’iscrizione all’albo e la documentazione numericamente contemplata dal regolamento unilateralmente ritenuta conferente allo scopo”. Ciò che fondatamente si contesta, infatti, non è l’adozione dello strumento prescelto dal regolamento (il colloquio), che è di per sé senz’altro ragionevole e legittimo, ma – esattamente al contrario – la circostanza che tale strumento abbia contorni nebulosi e indeterminati, anche perché l’attribuzione di competenza in materia al C.N.F. “in via esclusiva” (ai sensi dell’art. 9, comma 5, della legge) non può risolversi in una sorta di delega in bianco.
8.7. Di conseguenza, l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.
8.8. Vista la novità della materia controversia, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
9. (ricorso n.r.g. 2016/8716). Ancora in via preliminare, il Collegio rileva che, in mancanza di appello incidentale, si è formato il giudicato interno sui capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le eccezioni di inammissibilità degli interventi ad opponendum spiegati e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e, nel merito, hanno rigettato le censure proposte dagli originari ricorrenti.
9.1. L’art. 3 del regolamento elenca i settori di specializzazione nei quali l’avvocato può conseguire il titolo di specialista.
9.2. Il T.A.R. ha ritenuto la suddivisione delle specializzazioni palesemente irragionevole e arbitraria nonché illogicamente omissiva di determinate discipline giuridiche, e la sentenza resiste alle critiche che sono mosse con l’appello.
9.3. Come osserva il parere del C.N.F., l’elenco prende le mosse dalla tripartizione tradizionale fra diritto civile, penale e amministrativo. Tuttavia, esso poi dilata ampiamente il primo settore e non introduce nessuna differenziazione nell’ambito degli altri, laddove è ben noto che quanto meno il diritto amministrativo conosce sotto-settori autonomi nella pratica, nella dottrina e nella didattica, che – al pari di quelli del diritto civile – meriterebbero di essere considerati settori autonomi di specializzazione; mentre, per converso, appare discutibile, in termini di ragionevolezza, la analitica suddivisione per il diritto civile. In altri termini, la previsione regolamentare presenta una intrinseca incoerenza laddove sembra prescegliere criteri simmetricamente diversi nella individuazione delle articolazioni interne ai settori.
9.4. Non vale portare in contrario i pareri espressi dalla Sezione atti normativi del Consiglio di Stato (19 settembre 2014, n. 2871) e dal C.N.F. – come fa l’Avvocatura generale – per concludere che il regolatore si sarebbe integralmente adeguato alle indicazioni ricevute, perché i pareri si limitavano a segnalare un contenuto minimo del catalogo delle specializzazioni, facendo salve, quanto al resto, le scelte di merito dell’Amministrazione.
9.5. Né si tratta di sindacare nel merito, appunto, le opzioni del regolatore, ma di vagliarne la coerenza e la sostenibilità rispetto al metro della logicità e della ragionevolezza; vaglio che, come detto, non può che avere esito negativo.
9.6. Per l’impossibilità di ricostruire il criterio ordinatore dei settori di specializzazione contenuti nel regolamento, tale giudizio negativo implica un profondo ripensamento della disciplina introdotta con l’adozione di parametri che siano il frutto di una scelta di merito, ma che devono rispettare i criteri di effettività, congruità e ragionevolezza; né tale articolazione, se originariamente ritenuta incongrua, può essere corretta nella sede di modifica e aggiornamento riconosciuta al Ministro della giustizia dall’art. 4 del regolamento.
9.7. Segue da ciò che l’appello è infondato e va dunque respinto, con conferma della sentenza impugnata.
9.8. Nulla deve disporsi quanto alle spese di lite, non essendo costituiti in giudizio i ricorrenti in primo grado.
10. (ricorso n.r.g. 2016/8717). Ancora in via preliminare, il Collegio rileva che, in mancanza di appello incidentale sul punto specifico, si è formato il giudicato interno sui capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le eccezioni di inammissibilità degli interventi ad opponendum spiegati e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
10.1. L’appello dell’Amministrazione è infondato, dovendosi richiamare le considerazioni espresse con riguardo agli appelli n.r.g. 2016/8715 e n.r.g. 2016/8716, e va perciò respinto.
10.2. Quanto all’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti, che ripropone integralmente i motivi di merito rigettati dal T.A.R., il Collegio respinge in primo luogo l’eccezione di irricevibilità opposta dall’Amministrazione sull’argomento che esso sarebbe tardivo per essere stato notificato oltre la scadenza del termine lungo di impugnazione della sentenza (il dato è incontestato in punto di fatto: notifica del 29 dicembre 2016 a fronte di una sentenza depositata il 14 aprile 2016, tenuto conto del periodo feriale).
10.2.1. L’Amministrazione non cita a proposito la decisione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 16 dicembre 2011, n. 24 (indi in senso conforme Cons. Stato, sez. III, 24 maggio 2013, n. 2837; sez. IV, 8 novembre 2013, n. 5342) che, consapevolmente discostandosi dalla giurisprudenza formatasi prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ha affermato – per quanto qui interessa – che:
– l’impugnazione incidentale di cui all’art. 334 c.p.c. può essere proposta dalla parte in via subordinata all’accoglimento di quella principale o in via autonoma;
– tale impugnazione incidentale è tardiva, nel senso che è proponibile entro sessanta giorni dalla notificazione di altra impugnazione, anche se a tale data è decorso il termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza o quello lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza; in definitiva, la notificazione di altra impugnazione sortisce l’effetto di rimettere in termini la parte che era decaduta dal termine di impugnazione breve o lungo;
– l’interesse a proporre impugnazione incidentale, ancorché autonoma, può sorgere in conseguenza dell’impugnazione principale;
– questo giustifica la possibilità di proporre impugnazione incidentale tardiva dopo la notificazione di quella principale ed entro un termine decorrente da quest’ultima;
– appare dunque giustificato lo spostamento del termine per l’impugnazione incidentale “tardiva” anche oltre il decorso del termine lungo, ovviamente per uno spazio massimo di ulteriori sessanta giorni (circostanza anche questa non contestata, in punto di fatto, nel caso di specie), atteso che l’impugnazione principale non può comunque essere notificata oltre l’ultimo giorno del termine lungo.
10.2. Inoltre, l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche se proposta contro una parte della sentenza diversa da quella aggredita nell’impugnazione principale e su un capo diverso da quello oggetto di questa impugnazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 17 marzo 2009, n. 6444; sez. III, 25 maggio 2010, n. 12714; sez. lav. 22 aprile 2011, n. 9308; sez. I, 16 novembre 2015, n. 23396; sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21304).
10.2.3. Non vale in contrario il precedente che l’Amministrazione invoca a sostegno della propria tesi (l’art. 334 c.p.c. si applicherebbe solo all’appello incidentale condizionato), che ha deciso una diversa fattispecie statuendo che un appellante principale non può avvalersi del termine lungo per impugnare quando altro appellante principale, con la notifica, lo abbia portato a conoscenza della sentenza di primo grado (Cons. Stato, sez. V, 27 luglio 2016, n. 3400).
10.2.4. Non vi è dunque ragione per ritenere tardivo l’appello incidentale degli originari ricorrenti, anche perché non ne è contestato l’avvenuto deposito entro dieci giorni dalla notificazione (4 gennaio 2017) nel rispetto dell’art. 96, comma 5, c.p.a.
10.3.1. Nel merito, l’appello incidentale è parzialmente fondato, nei termini che seguono.
10.3.1. La censura concernente il numero massimo di specializzazioni conseguibili è fondata non in sé, in quanto può essere opportuno frenare una “corsa alla specializzazione” che rischierebbe di svilire il valore della specializzazione stessa e di andare contro l’interesse del cliente-consumatore, ma alla luce della acclarata irragionevolezza della suddivisione relativa che individua ambiti contermini e settori affini, tanto da far apparire egualmente irragionevole la limitazione impugnata. E’ evidente che rivisitazione dell’elenco e individuazione di un limite ragionevole e congruo dovranno andare di pari passo.
10.3.2. Non hanno pregio le doglianze, variamente articolate (vedi meglio supra par. 5.7), che sostengono l’illegittimità dei requisiti prescritti dal regolamento per ottenere e mantenere il titolo di avvocato specialista poiché – come ha correttamente rilevato il T.A.R. – la normativa regolamentare discende direttamente dalla previsione dell’art. 9, comma 2, della legge (“Il titolo di specialista si può conseguire all’esito positivo di percorsi formativi almeno biennali o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione”) e non appare irragionevole o immotivata la specificazione posta dall’art. 8, comma 1, del d.m. in relazione al rinvio alla fonte secondaria fatto dall’art. 9, comma 5, della legge. Del pari non appaiono irragionevoli i presupposti della revoca tenendo conto del necessario tratto dell’attualità della qualifica e dei connessi obblighi di formazione permanente, sui quali il primo giudice ha messo l’accento in termini del tutto condivisibili.
10.3.3. E’ infondato il motivo riguardante l’asserita illegittima attribuzione di competenze al C.N.F., perché le disposizioni regolamentari costituiscono corretto svolgimento della disciplina di legge, uno dei capisaldi della quale è proprio l’attribuzione in via esclusiva al C.N.F. della competenza al conferimento e alla revoca del titolo. La tesi dell’appello incidentale, secondo cui dall’impianto della legge risulterebbe un chiaro favor verso l’attribuzione di competenze ai Consigli degli Ordini territoriali, è enunciata ma non dimostrata e ha carattere generico.
10.3.4. E’ fondata la censura rivolta avverso la previsione in regolamento di una fattispecie di illecito disciplinare (art. 2, comma 3, del d.m.: “Commette illecito disciplinare l’avvocato che spende il titolo di specialista senza averlo conseguito”).
A fronte dell’inequivoco disposto dell’art. 3, comma 3, della legge, che rinvia al codice deontologico per l’individuazione dei fatti di rilievo disciplinare, la norma regolamentare è illegittima se vuole ampliare l’ambito delle fattispecie rilevanti, superflua e illogica se non perplessa, e dunque parimenti da annullare, se intende riportarsi alle previsioni del codice deontologico specificandole. Fermo il rispetto del principio della tipizzazione delle condotte rilevanti in chiave disciplinare, la disposizione regolamentare, se così ricostruita, introdurrebbe non consentiti elementi di incertezza sulle conseguenze sanzionatorie dell’indebito utilizzo del titolo, poiché alla violazione dell’art. 65, comma 1, del codice, valorizzato dal T.A.R., segue l’avvertimento, mentre potrebbero egualmente essere richiamati le prescrizioni dell’art. 35 (“dovere di corretta informazione”) o dell’art. 36 del codice (“divieto di attività professionale senza titolo e di uso di titoli inesistenti”), alle quali sono collegate le diverse sanzioni della censura o della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale e che rimangono comunque pienamente applicabili una volta in concreto accertati i relativi presupposti.
10.3.5. Non ha pregio il motivo che mette in discussione l’intero impianto normativo del regolamento, ritenuto fonte di disparità di trattamento fra avvocati e di gravi distorsioni della concorrenza nonché imputato di violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza allo scopo, con conseguenze dannose per il cliente-consumatore, costretto a scegliere fra una pluralità di distinte figure professionali senza avere gli strumenti necessari per orientarsi. Sotto il profilo in questione, va pienamente confermata la statuizione del T.A.R., il quale ha bene osservato che la censura è generica e “si presenta in sostanza assertiva e comunque tesa, inammissibilmente, a contestare il merito delle scelte, non tanto regolamentari, quanto legislative”.
10.3.6. Del pari è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta, in via subordinata, avverso l’art. 9 della legge, che violerebbe l’art. 3 Cost. per avere introdotto una disciplina intrinsecamente irragionevole, contraria alla concorrenza e non rispettosa del bilanciamento degli interessi in gioco. Da un lato, infatti, è apodittica la tesi che i requisiti previsti per il conseguimento del titolo non assicurerebbero una particolare idoneità professionale, perché tanto non si può dire di parametri (i percorsi formativi e la comprovata esperienza) che sono suscettibili di essere contestati nel merito, ma non paiono di per sé irragionevoli. Dall’altro, neppure può essere seguita la censura che il sistema delineato dalla legge penalizzerebbe inammissibilmente i professionisti giovani, perché è ragionevole che la specializzazione sia un quid pluris e dunque richieda l’acquisizione e l’accertamento di competenze ulteriori rispetto a quelle certificate dalla sola iscrizione all’albo professionale.
10.4. Rigettato l’appello principale e accolto in parte l’appello incidentale, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti in ragione della parziale reciproca soccombenza.
11. (ricorso n.r.g. 2016/8740). L’appello dell’Amministrazione è infondato sulla scorta delle considerazioni espresse con riguardo agli appelli n.r.g. 2016/8715 e n.r.g. 2016/8716 e va perciò respinto.
11.1 Sono inammissibili i motivi riproposti dagli originari ricorrenti con la memoria depositata il 16 gennaio 2017 (pagg. 8 – 12) in quanto:
a) per i motivi accolti dal T.A.R. in relazione agli artt. 3 e 6 del regolamento, la riproposizione è superflua e costituisce solo una sintetica variatio delle difese avverso le censure svolte dall’Amministrazione con l’appello, che gli appellati espongono partitamente in altra parte della memoria (pagg. 3 – 8);
b) quanto ai motivi formulati in relazione agli artt. 7 e (implicitamente) 8 del regolamento, questi sono stati vagliati e rigettati dal T.A.R. (pagg. 5 ss. e 11-12 della sentenza impugnata), sicché avrebbero dovuto essere riproposti con appello incidentale tempestivo e non con semplice memoria non notificata e comunque tardiva rispetto al termine previsto dall’art. 101, comma 2, c.p.a. (deposito del 16 gennaio 2017 a fronte di una notifica perfezionatasi il 31 ottobre 2010).
11.2. Di conseguenza, in mancanza di tempestivo appello incidentale, si è formato il giudicato interno sui capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le censure proposte dai ricorrenti.
11.3. Come detto prima, la novità della controversia giustifica la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
12. In sintesi:
a) gli appelli dell’Amministrazione sono infondati e vanno respinti;
b) quanto all’appello n.r.g. 2016/8717, l’appello incidentale è parzialmente fondato – come meglio sopra esposto – e in questa parte va accolto, con riforma in parte qua della sentenza impugnata e corrispondente accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;
c) quanto all’appello n.r.g. 2016/8740, sono inammissibili i motivi proposti dagli originari ricorrenti in primo grado e riproposti in questo grado di appello;
d) le spese del presente (n.r.g. 2016/8715 e n.r.g. 2016/8740) o del doppio grado di giudizio (n.r.g. 2016/8717) possono essere compensate fra le parti; per ciò che concerne le spese dell’appello n.r.g. 2016/8716, nulla deve disporsi.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti:
a) respinge gli appelli dell’Amministrazione;
b) quanto all’appello n.r.g. 2016/8717, accoglie in parte l’appello incidentale nei limiti esposti in motivazione;
c) quanto all’appello n.r.g. 2016/8740, dichiara inammissibili i motivi proposti dai ricorrenti in primo grado e riproposti in questo grado di appello.
Per l’effetto, conferma le impugnate sentenze del T.A.R. Lazio n. 4427/2016, n. 4424/2016 e n. 4426/2016; riforma in parte la sentenza n. 4428/2016 e accoglie in parte qua il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
In ordine alle spese di giudizio:
a) quanto agli appelli n.r.g. 2016/8715 e n.r.g. 2016/8740, compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio;
b) quanto all’appello n.r.g. 2016/8717, compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio;
c) nulla dispone circa le spese relative all’appello n.r.g. 2016/8716.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.